Archive for agosto 2011

Dieci regole per scrivere narrativa - Giulio Mozzi

Chi vaga per la rete alla ricerca di consigli su come scrivere sa che quanto di meglio si riesce a trovare sono i consigli di Giulio Mozzi. Oltre ad essere un ottimo scrittore, infatti, Mozzi si preoccupa anche in maniera assai attiva di insegnare agli altri le tecniche del suo mestiere. E lo fa senza risparmiarsi: tiene corsi di scrittura creativa e, per chi non ha soldi/tempo per frequentarli, mette a disposizione sul suo sito svariati materiali utilissimi e interessanti. Ad esempio le diciassette video-lezioni che vanno sotto il titolo di Inventare e raccontare storie: oltre che utili sono anche divertenti, il che non guasta.
Mozzi si offre inoltre di leggere manoscritti di autori esordienti/emergenti fornendo su di esse un giudizio: qui fornisce persino le istruzioni su come inviargli le opere.

Vi riporto qui (dietro sua gentilissima concessione) dieci regole sullo scrivere narrativa. 

1. È importante rileggere. Curiosamente, è un comportamento diffuso: molte persone evitano accuratamente di rileggere quello che hanno scritto. Questo non va bene. Bisogna diventare buoni lettori di sé stessi. La prima regola è: leggere qualche frase, o un capoverso, poi fermarsi e farsi un po’ di domande: fin qui va bene? ho detto tutto o ho dimenticato qualcosa? è tutto chiaro? ci sono particolari mancanti?

2. È importante essere avvincenti. Il primo desiderio di chi scrive è di essere letto: di essere letto tutto, fino in fondo, appassionatamente. Quindi un racconto o un romanzo deve essere innanzitutto avvincente. Come facciamo a capire se quello che abbiamo scritto è avvincente? Prendiamo dalla nostra libreria i dieci libri che consideriamo più avvincenti. Rileggiamoli, o almeno sfogliamoli, rileggiamo le pagine più emozionanti. Domandiamoci: che cos’è che rende così avvincenti questi libri (o queste pagine)? Poi leggiamo i nostri scritti, e facciamoci la stessa domanda. [Aggiunta 2011: è chiaro che, in questo modo, ciascuno si farà un'idea di avvincimento adeguata al lettore che egli stesso è].

3. La narrazione è soprattutto cose e fatti. Spesso ciò che ci spinge a scrivere è un sentimento (o un’emozione). Noi vorremmo che chi legge rivivesse quel sentimento. Questo è giusto. È ingenuo, però, credere che basti parlare di quel sentimento perché il lettore ne diventi partecipe. Sentimenti ed emozioni nascono da situazioni, avvenimenti, fatti, cose, ambienti, paesaggi, viaggi, oggetti, parole dette o sentite, sogni, visioni. Se vogliamo che lo stesso sentimento si produca in chi legge, dobbiamo raccontare situazioni, avvenimenti, fatti, cose, ambienti eccetera. Se ogni volta che mangio una granita al caffè mi commuovo, non devo parlare della mia commozione, ma descrivere la granita al caffè.

4. Raccontare è far vedere. Succede a tutti, nel leggere un libro appassionante, di vedere con gli occhi della mente ciò che viene raccontato: come se un film venisse proiettato davanti ai nostri occhi. Mentre scriviamo dobbiamo domandarci continuamente: che cosa sto facendo vedere al lettore, in questo momento? Se in un certo momento non stiamo facendo vedere niente al lettore, ecco: è come se gli presentassimo uno schermo tutto nero.

5. La narrazione è fatta di “scene” e “inquadrature”. Esattamente come i film, una narrazione consiste di un certo numero di “scene” e di “inquadrature”. Mentre raccontiamo dobbiamo avere bene presente quando finisce una scena o un’inquadratura e ne comincia un’altra. Un trucco utile è questo: suddividiamo il nostro testo in tanti capitoletti, non più lunghi di mezza pagina ciascuno, e diamo un titolo a ogni capitoletto. Quasi automaticamente divideremo il testo in “scene”, e mettere il titolo ad ogni scena ci aiuterà a capire che cosa effettivamente è “al centro della scena” in quelle righe.

6. Chi racconta la storia? Non sempre siamo noi a raccontare la storia. Possiamo inventarci un personaggio che la racconti al nostro posto. Possiamo farla raccontare al protagonista o a un personaggio secondario, che partecipa marginalmente all’azione (come il dottor Watson che racconta le avventure di Sherlock Holmes). Ma possiamo farla raccontare anche a un oggetto, a un animale, a una parte del corpo: immaginiamo la storia di Pinocchio raccontata dal suo naso o la storia del Gatto con gli stivali raccontata dagli stivali…

7. Attenti alle anticipazioni. “Giorgio non sapeva ancora che, accettando l’invito di quella donna, si sarebbe messo nei guai…”. È facile incontrare frasi così. Spesso si crede che con frasi così si aumenti la tensione e l’aspettativa. Non è vero: si ottiene l’effetto contrario. Ora io so che Giorgio, avendo accettato l’invito di quella donna, si metterà nei guai. Se non l’avessi saputo, se non avessi avuta questa “anticipazione” sulla storia, tutto per me – lettore – sarebbe stato più misterioso e avvincente.

8. Attenti al punto di vista. Se Giorgio mi racconta com’è andata tra lui e Giorgia, è evidente che conoscerò solo una metà della storia. Se invece a raccontare sarà Giorgia, conoscerò l’altra metà: e non è detto che i due pezzi coincidano, perché ognuno deforma la realtà secondo la sua percezione e il suo comodo. Così, quando facciamo raccontare la storia a un personaggio, o comunque la raccontiamo dal suo punto di vista, dobbiamo evitare di assumere, anche per un solo istante, il punto di vista d’un altro personaggio. Similmente, la storia raccontata da un personaggio può contenere solo quelle informazioni di cui quel personaggio può ragionevolmente essere in possesso. Infine: ricordiamoci che un personaggio, mentre ci racconta la sua storia, può anche mentire.

9. I dialoghi, che difficili! È proprio difficile far parlare i personaggi. Una conversazione scritta che appaia “naturale” è in realtà molto diversa da una conversazione reale. Si possono seguire alcune piccole regole: a) scrivere solo quelle battute di dialogo che contengono informazioni nuove per il lettore, b) scrivere solo le battute che non possono essere previste dal lettore, c) sostituire, quando si può, una battuta con un gesto espressivo, d) usare nel dialogo, quando si può, frasi “nominali”, cioè senza il verbo.

10. Entrare subito in argomento. Per ultimo mettiamo un consiglio sull’iniziare. Evitate di prendere le cose alla larga (Manzoni nei Promessi sposi l’ha fatto: ma noi non siamo Manzoni), entrate subito in argomento, e chiamando le cose col loro nome. “Era una bella giornata d’aprile. Un uomo aprì la finestra e si affacciò”. Meglio: “Giorgio aprì la finestra e si affacciò. Era una bella giornata d’aprile”. Sembra che non cambi quasi niente, invece cambia tutto: anziché cominciare con la meteorologia, cominciamo con un personaggio (reso evidente dal nome) e con un gesto: aprire la finestra e affacciarsi.
Qui trovate il post originale e i commenti.

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FacciaLibro - Raymond Carver



In definitiva, le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore. 

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"Le sorelle fatali" - Eleanor Brown

«La nostra è una storia trina, dalla linea di confine in continuo movimento, caotica, priva di equilibrio, di equanimità. Due contro una oppure una contro l’altra, mai tutte e tre insieme. Il giorno della nascita di Cordy, Rose si alleò con Bean. due contro una. E quando Bean si ribellò, rifiutandosi di partecipare ai giochi proposti da Rose, lei scoprì di potersi coalizzare con Cordy, che accettò docilmente il ruolo di gregaria. Due contro una.
Finché Rose non se ne andò di casa e fummo di nuovo divise, una contro l’altra.»


Illude questo romanzo, Le sorelle fatali di Eleanor Brown, illude perché mentre leggevo il paragrafo qui riportato ho pensato “Che bello, finalmente un libro che parla del rapporto tra sorelle in maniera non zuccherosa o scontata”. Mi sbagliavo, però. Il libro inizia con le tre sorelle Rosalinda, Bianca e Cordelia –  così chiamate dal padre professore di letteratura inglese ossessionato da Shakespeare – profondamente in crisi, sull’orlo del fallimento intimo e pratico. Tornate tutte e tre a vivere con i genitori, per differenti e disastrosi motivi, si trovano ad affrontare le proprie deludenti vite nonché la malattia della madre, colpita da un cancro al seno.  Se non mi aspettavo un capolavoro o una grande opera letteraria, con queste premesse mi aspettavo però un libro di grande drammaticità, seppure magari stucchevolmente esacerbata. Quello che, fino all’ultimo, non mi aspettavo era un happy ending di quelli grondanti melassa, con tanto di fiocchi di neve che cadono, dolcetti natalizi e tanto, tanto amore. La redenzione arriva, per le tre sorelle fatali, e nemmeno a un prezzo troppo caro. E i loro rapporti, nemmeno a farlo apposta, migliorano notevolmente con lo scorrere delle pagine.


Quello tra sorelle è un rapporto misterioso, pieno di tensione, di dinamiche psicologiche complesse e, spesso, spietate; se le sorelle sono due, è forse possibile trovare una sorta di equilibrio. Ma quando le sorelle sono tre c’è sempre un lato sbilenco: il rapporto tra tre sorelle è un triangolo scaleno, sempre pericolosamente in bilico. È anche un rapporto molto letterario, come dimostra l’opera di Čechov Tre sorelle o la vita stessa delle sorelle Brontë.

Ma Eleanor Brown, se riesce a intravedere la problematica di questo rapporto a tre, non sa sviscerarne il nucleo, né dipingerne almeno il fenomeno: il suo romanzo è poco più di un libro di chick-lit infarcito di citazioni shakespeariane (che fanno sempre la loro figura). Le sue tre sorelle non hanno neanche un briciolo della forza malefica e potentissima delle tre streghe del Macbeth. Una buona idea di fondo e un titolo splendido (l’originale, The Weird Sisters, lo è ancora di più) per un libro mediocre e inutile.  

Eleanor Brown, Le sorelle fatali
traduzione di Lucia Olivieri
Neri Pozza, 2011
pp. 366, euro 17 

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